Il Codex Purpureus Rossanensis
Il “Codex Purpureus Rossanensis” è un manoscritto del Nuovo Testamento, dal formato di 200 x 307 mm, in pergamena colore porpora (da qui il nome “Purpureus”), di straordinario interesse dal punto di vista sia biblico e religioso, sia artistico, paleografico e storico, sia documentario.
- È però mutilo, i suoi 188 fogli, forse dei 400 originari (l’altra metà è andata probabilmente distrutta nel secolo XVII o XVIII in un incendio, di cui è rimasta traccia negli ultimi dieci fogli), contengono soltanto l’intero Vangelo di Matteo e quasi tutto quello di Marco (fino al versetto 14 dell’ultimo capitolo); nel corpo del volume si trova anche una parte della lettera di Eusebio a Carpiano sulla concordanza dei Vangeli. La legatura in pelle scura risale al sec. XVII o XVIII.
- È adespoto cioè non conosciamo il nome o i nomi degli autori.
- È scritto in caratteri onciali ossia in lettere maiuscole greche o maiuscole bibliche, su due colonne di 20 righe ciascuna, le prime tre linee, all’ inizio dei Vangeli, in oro e il resto in argento, le parole non recano accenti, né spiriti, né sono tra di loro separate, né compaiono segni di interpunzione, tranne i punti che segnano la fine dei periodi.
- È un Evangelario miniato, in quanto comprende n. 15 illustrazioni decorative, superstiti immagini di un più ampio corredo iconografico, aventi per soggetto fatti, avvenimenti, parabole riguardanti la vita e la predicazione di Gesù Cristo. Le miniature, tranne tre (IX, X e XV), rappresentano visivamente la vicenda storica ed il messaggio evangelico di Gesù Cristo nella sua ultima settimana di vita. Esse sono tratte dai quattro Evangeli, compresi quelli di Luca e Giovanni i cui testi sono andati perduti. Le 15 tavole miniate occupano altrettanti fogli, distinti da quelli contenenti il testo, e riproducono, in continuità visiva, il ciclo pittorico o musivo di una chiesa o basilica di quell’epoca, dedicato alla vita e all’insegnamento di Gesù : tale accorgimento presenta un’autentica unicità rispetto ad altri codici miniati. Di esse n.10 illustrazioni presentano la medesima impostazione visiva e grafica: la parte superiore è occupata dalla scena evangelica ed è separata da una sottile linea blu dalla scena inferiore, che è riservata, nella parte centrale, a quattro Profeti, dipinti a mezzo busto, tutti con il braccio destro alzato, con l’aureola e soltanto David e Salomone anche con la corona regia; al di sotto dei Profeti, che con la mano destra indicano l’avverarsi delle loro profezie nella scena superiore, ci sono infine le loro citazioni in cartigli o rotoli.
Questo codice, noto anche come il “Rossanensis”, è uno dei sette codici miniati orientali esistenti nel mondo . Tre sono in siriaco e quattro in greco. Questi ultimi sono il “Manoscritto 5111 o Genesi Cotton”, in possesso della British Library di Londra (di cui, però, a causa di un incendio nel XVII secolo, è rimasto qualche esiguo e decomposto frammento soltanto di una pagina), la”Wiener Genesis”, conservata presso la Osterreichische Nationalbibliothek di Vienna (costuita da 26 fogli, 24 dei quali miniati), il “Frammento o Codice Sinopense”, custodito presso la Bibliothèque National di Parigi (formato da 43 fogli e 5 miniature) e infine il “Codex Purpureus Rossanensis”, che, con i suoi 188 fogli, pari a 376 pagine, è il Codice più ampio, più prezioso, più importante di quelli sopra citati; pare che un quinto codice greco, il cosiddetto “Codice o frammento «N»” (contenente una miniatura sulla lavanda dei piedi), esista nella città russa di S. Pietroburgo ex Leningrado.
Il “Rossanensis”, salvato da rapine, distruzione, oblio dalla Chiesa rossanese, è posseduto e conservato, da tempo immemorabile, dalla Cattedrale e dall’ Arcivescovado dell’antica e prestigiosa città bizantina, ed è amorevolmente custodito, dal 18 ottobre 1952, presso il Museo Diocesano di Arte Sacra di Rossano. Sfuggito a storici e cronisti nel corso dei secoli, viene ricordato per la prima volta, nel 1831, da Scipione Camporota, canonico della Cattedrale della città, che dà ai fogli una prima sistemazione e l’attuale numerazione con inchiostro nero delle pagine. È segnalato, poi, fugacemente, nel 1846, dallo scrittore Cesare Malpica in un libro-reportage, dal titolo “La Toscana, l’Umbria e la Magna Grecia”. Viene, quindi, presentato, per la prima volta, nel 1880, all’ attenzione della cultura europea ed internazionale, come una”scoperta”, da due studiosi tedeschi, Oskar von Gebhardt e Adolf von Harnach nello scritto, pubblicato in quell’anno a Lipsia, dal titolo “Evangeliorum Codex Graecus Purpureus Rossanensis”, che, tra l’altro, battezza ufficialmente e definitivamente il prezioso manoscritto di Rossano.
La prima edizione del testo integrale del “Codex” è opera di von Gebhardt e risale al 1883, la seconda è del Sandy e data 1885. L’Haseloff , poi, nel 1889, fornisce l’edizione delle miniature, riproducendole in fototipia, ed il Munoz, nel 1907, in cromotipia. Nel 1974, mons. Ciro Santoro cura una nuova e pregevole edizione del “Rossanensis”, con riproduzioni più fedeli delle miniature, testi informativi e commenti. Recentemente, nel 1985, il prof. Enrico Malato, la Casa Editrice Salerno di Roma e l’ Akademische Druck u. Verlagsanstalt di Graz, in collaborazione con l’Archidiocesi e con il Comune di Rossano, con l’alto Patronato del Presidente della Repubblica, hanno curato l’ edizione integrale in fac-simile del “Purpureus Rossanensis”, corredata da un Commentario con i contributi di Guglielmo Cavallo, William C. Loerke e Jean Gribomont. Dall’ 800 ad oggi si è acceso un ampio, appassionato ed interessante confronto tra gli studiosi.
Ancora aperta è la “questione” della localizzazione e della provenienza del “Codex”, nonostante gli studi e le ricerche, di notevole valore scientifico, che , da circa un secolo, stanno impegnando storici, paleografi, studiosi d’arte bizantina, neo-testamentari e di filologia biblica. Inizialmente, prevale l’ « ipotesi romanista », che vuole il”Rossanensis”esemplato nell’ Italia Meridionale : tale è l’opinione di Viokoff, Gradmann, Stahllant, Stuhlfauth, Beissel, Gradenaner, Weigand, Guyer, Bettini, Guerriera Guerrieri, quest’ ultima anzi non esclude che la stesura del”Codex”possa essere avvenuta a Rossano.
Ben presto, però, si afferma, ed oggi nessuno più la mette in discussione, l’ « ipotesi orientalista », la quale dà per certo che il”Rossanensis” e gli altri Codici miniati prima ricordati, provengano da uno “Scriptorium” monastico dell’ Oriente bizantino.
Sull’ ubicazione precisa di questo centro, tuttora, non c’è unanimità né concordanza di posizioni tra gli studiosi. Alcuni propendono che il luogo d’origine del “Codex” sia la Siria, in particolare la città di Antiochia (la collocazione geografica in questa città è quella che riscuote più credito e consensi), oppure un centro dell’ Asia Minore, precisamente la Cappadocia o Efeso : tale è la tesi, ancora prevalente di Ludtke, Haseloff, Strzygowski, Munez, Dalton, Buberl, Kondakoff, Lazaref, Weitzmann, Kitzinger, De Francovich, Kanterowicz, Diehl, Schultze, Garucci, Bovini, Velbach, F. Russo, G. Cavallo, A. Gradilone, C. Santoro, L. Renzo. Altri studiosi, come Morey, Krauss, Ussow pensano ad Alessandria d’ Egitto, quale città d’ origine del “Codex”. Altri ancora optano per Costantinopoli, come von Gebhardt, Ainalov, Wulff, Nordenfalk, Buchtal, Talbot Rice, Beckwith, Delvoye, Gough, De Franciscis, William Loerke. Quasi tutti i ricercatori suddetti concordano nel datare il codice intorno alla metà del secolo VI.
Di recente, però, la professoressa Fernanda dÈ Maffei dell’Università di Roma è pervenuta a nuovi risultati, che modificano radicalmente tante convinzioni consolidate e ritenute, a torto, definitive. Infatti, in una serie di relazioni tenute dal 1974 al 1978 e culminate in uno studio di ampio respiro, presentato a Rossano durante il convegno nazionale su”Testimonianze cristiane antiche e altomedievali nella Sibaritide” e pubblicato nel 1980, la de Maffei propone una nuova ed originale teoria, che ella con umiltà chiama”ipotesi di lavoro”. Questa nasce da una ricerca attenta e molto circostanziata sulle miniature e sull’ esegesi neo-testamentaria dei Padri della Chiesa e conclude che la patria del “Codex Purpureus Rossanensis” sia Cesarea di Palestina e la data di stesura sia da anticipare alla prima metà del secolo V, come hanno affermato, in precedenza, Munoz, Graevenche, Ludtke. Quest’ ultimo contributo scientifico e critico mi pare che sia una delle proposte più plausibili e più persuasive, che fornisce nuovi argomenti e nuova luce per avviare a soluzione le annose, appassionate e dibattute”questioni”riguardanti il “Rossanensis “.
Altri problemi, molto controversi, che attendono ancora soluzioni certe o almeno ampiamente condivisibili, sono quelli che riguardano la committenza, la destinazione del prezioso “libro”, l’epoca e le ragioni della sua venuta a Rossano.
Per quanto riguarda la committenza ritengo plausibile che essa provenga dall’ ambiente della corte di Bisanzio, da persone della famiglia imperiale o dell’alta aristocrazia di corte, laiche o religiose, ciò perché la pergamena era allora rara e molto costosa, l’inchiostro d’oro e d’argento era alla portata soltanto di ristrette cerchie di abbienti, il colore porpora era in quel tempo riservato all’Imperatore e ai suoi stretti congiunti assumendo così l’immagine simbolica del potere temporale dell’Impero o spirituale della Chiesa. Ritengo probabile che il committente del “Codex” abbia patrocinato e finanziato l’opera nell’ottica di quelle frequenti donazioni o opere buone a favore della Chiesa, tese a creare meriti per la salvezza dell’anima o per l’indulgenza delle pene, e che, per una personalità ricca e di alto rango, dovevano essere particolarmente visibili, quali “status symbol” della classe dominante.
Circa la destinazione dell’Evangelario, non mi pare convincente l’ipotesi, recentemente formulata dal prof. Gugliemo Cavallo dell’Università di Roma, che, in maniera mi pare molto riduttiva, relega il “Codex” ad un qualsiasi esibizionistico e banale”libro-oggetto, esposto all’ammirazione e mai letto ovvero un codice-simbolo, portato in processione o posto sull’altare o nel consesso di un Concilio…, un libro da cerimonia, da pompa liturgica, da pubblica esibizione…, un libro simbolico-decorativo”. Mi sembra più verosimile che il”Purpureus Rossanensis” sia stato destinato ad un uso sacro, dottrinale, liturgico, divulgativo della parola e dell’insegnamento di Gesù Cristo, perché in esso prevalgono la parola e lo scritto, che nella simbologia religiosa bizantina sono i principali strumenti della comunicazione del messaggio di Dio, dell’annuncio della Rivelazione di Dio che nel Cristo-Verbo si fa uomo perché l’uomo attraverso il Verbo-Cristo si faccia Dio: la parola è il Verbo e il Verbo è la Via, la Verità, la Vita. Parola e scritto, inoltre, hanno la funzione di essere mediatrici tra l’uomo e Dio, in quanto proclamano l’Evangelo ossia la Buona Novella di Gesù Cristo. L’annuncio liberatorio e salvifico del Messia per essere più efficace ed incisivo viene presentato con l’ausilio delle illustrazioni o miniature, intese come strumenti complementari della parola, che si fa anche immagine, messaggio visivo immediato e fruibile facilmente ed universalmente da tutti.
Circa la terza “questione”, ritengo, con molta cautela, che il”Codex” giunga a Rossano all’ indomani del 636-638, quando i monaci greco-melkiti, per sfuggire all’ offensiva espansionistica e religiosa degli Arabi musulmani, abbandonano la Siria, la Palestina, l’ Egitto, la Cappadocia e cercano rifugio nell’ Italia Meridionale ed in Calabria; oppure si può opinare che il prezioso manoscritto sia portato a Rossano da monaci iconoduli, intorno alla prima metà del secolo VIII, al tempo delle cruente persecuzioni iconoclastiche e monacomache. Una di queste comunità credo che si stabilisca in uno dei tanti monasteri rupestri ipogei, costituiti da grotte arenaree del tipo lauritico o cenobitico, che formano allora il famoso «Aghion Oros » o “Montagna Santa” della città jonica.Rossano, la città più bizantina della Calabria e dell’ Italia per oltre mille anni (dal 540 al 1460), nota per questo come “Rossano la Bizantina”. Rossano, in quell’epoca e fino all’arrivo dei Normanni, dal 540 al 1059, è una città-fortezza (Frùrion) sicura ed inespugnabile, un centro politico-amministrativo importantissimo, tanto che, nel corso del secolo X, diventerà la capitale della dominazione bizantina in Italia, sede di Diocesi dal 597 e di Monasteri dalle ricche Biblioteche e dagli”Scriptoria”fornaci inesauribili di libri e codici (“officinae librorum”), una delle principali zone ascetiche del tempo, patria di Papi (Zosimo, Giovanni VII, Zaccaria, Giovanni XVI), dei Santi Nilo e Bartolomeo, con-fondatori della celebre Badia greco-bizantina di Grottaferrata presso Roma, snodo fondamentale di irradiazione di quel processo di ri-ellenizzazione religioso-culturale che da Giustiniano in poi sta investendo l’Italia meridionale bizantina. È inevitabile, direi quasi fatale, che Rossano, la città più bizantina della Calabria e dell’ Italia per oltre mille anni (dal 540 al 1460), nota per questo come “Rossano la Bizantina”, eserciti sui monaci greci della “diaspora” un fascino suggestivo, un’ attrazione forte, irresistibile e che da allora essa divenga la patria adottiva del “Codex Purpureus”, assicurando a questo le ottimali condizioni di un ambiente bizantino se non unico certamente raro, per storia, cultura, arte, spiritualità, mentalità individuale e collettiva. Rossano, oggi, è orgogliosa di custodire questo manoscritto, per molti versi, unico nel mondo, perché in esso, negli oratori del S. Marco, della Panaghia, del Pilerio ecc., nella Cattedrale dell’ Achiropìta, nel celebre monastero della Nuova Odigìtria o del Patir o Patirion, nell’architettura ipogea e rupestre delle grotte monastiche, nella struttura medioevale del Centro storico ecc., Rossano mostra e testimonia alla sua gente e a tutte le genti la sua “bizantinità” e la sua ricca storia.
I pregi del manoscritto miniato sono numerosi, tali da renderlo il capolavoro della produzione libraria ed artistica bizantina, prezioso, per molti versi un”unicum”, di valore inestimabile:
- I 188 fogli di pergamena sottilissima di agnello, pura, di ottima qualità ed ottimamente lavorata;
- La colorazione purpurea delle 376 pagine, resa possibile dall’immersione dei fogli nel bagno di una sostanza dalla tinta rosso porpora, dagli alti costi, estratta da migliaia di particolari molluschi, che vivono soprattutto in quel braccio del Mediterraneo prospiciente la Palestina, e, data la sua alta qualità, è presumibile che essa sia stata prodotta a Tiro, la cui porpora era rinomata nell’antichità;
- La particolare rarità delle pergamene purpuree, determinata dall’ esclusiva prerogativa del colore porpora a favore degli imperatori di Bisanzio e dalla proibizione in quei secoli di eseguire codici con quella colorazione;
- L’ uso di inchiostri a base d’oro e di argento;
- L’antichità del manufatto (è probabilmente il più antico e meglio conservato documento librario e biblico della cristianità), che fa di esso “la più fulgida gemma libraria della Calabria…, che da solo fa Museo” (Ciro Santoro);
- L’ampiezza del manoscritto greco miniato, con il quale non possono rivaleggiare gli altri superstiti codici orientali;
- L’efficace e superba realizzazione di ben 15 vivaci miniature (cosa che non ha riscontro in altri coevi documenti), splendide ed armoniose illustrazioni visive della parola di Cristo, documenti rarissimi dell’arte sacra bizantina del V-VI secolo, espressioni assieme alle pergamene lavorate, di alta qualità artigianale;
- Il testo evangelico, nonostante alcuni errori di trascrizione degli amanuensi, è tra i più antichi ed attendibili, radice e fonte della dottrina cristiana e della cultura europea;
- Il perfetto equilibrio tra fede e scienza, tra religiosità e tecnica raffinata, tra pazienza e abilità, quale si manifesta sia nella scrittura sia nelle illustrazioni;
- La realizzazione in un’opera libraria cristiana degli ideali platonici e greco-bizantini del “Bello”, del “Vero”, del “Buono”.
Il “Codex Purpureus Rossanensis” è, altresì, un documento ineguagliabile nella sua straordinaria carica di spiritualità, di contenuti, di messaggi, di forte tensione e nel contempo di sereno pathos, che trasudano le antiche ed espressive pagine di quell’Evangelario. Un documento simbolo di una regione, la Calabria, che non si è limitata ad essere soltanto una terra di transito o un ponte tra le due anime del Mediterraneo, ma ha mediato e tradotto in sintesi la Civiltà greco-orientale e quella latino-occidentale, che è depositaria di fecondi fermenti di cultura e di spiritualità, che, consapevole e fiera della sua lunga storia, vuole affrontare con coraggio le sfide del futuro e continuare ad essere soggetto e protagonista nell’Europa del terzo millennio.
Le Miniature del “Codex Purpureus Rossanensis”
Foglio n. 1, recto, p.1, I miniatura: La Resurrezione di Lazzaro.
La miniatura apparteneva al Vangelo di Giovanni (11 , 1 ss.; 12, 1 ss.), andato perduto. La pagina è la più antica rappresentazione dell’avvenimento miracoloso: forse è il prototipo delle future analoghe pitture, fino a Giotto e Beato Angelico. La tavola è suddivisa, come la maggioranza di quelle successive, in tre parti : la scena evangelica, i profeti, il testo delle loro profezie. I Profeti di questa pagina sono David, Osea, David, Isaia; sotto sono riportati quattro passi del Vecchio Testamento, che li riguardano. I quattro Profeti, rappresentati a mezzo busto, con l’ aureola, un braccio alzato e con i rotoli, sono un “leit motiv” anche nelle successive nove miniature. Il miracolo è descritto con una particolare vivacità scenica, in cui si possono notare il prima ed il dopo dell’avvenimento. Gli Apostoli sono vestiti alla greca, con imation, tunica lunga dai diversi colori, sandali : si possono individuare Simon Pietro, l’anziano, e Andrea, alle sue spalle. Davanti a Pietro, il Cristo barbuto, con l’aureola, l’imation greco e l’aureola di colore oro, la tunica lunga marrone, i sandali, viene rappresentato in movimento e mentre sta per dire :”Lazzaro, vieni fuori !”. Ai piedi di Gesù le sorelle Maria, che gli sta asciugando i piedi, e Marta, entrambe con le spalle alla grotta sepolcrale, ignorano ancora che il fratello Lazzaro è stato risuscitato. La folla è divisa tra coloro che – tristi – ancora non sanno e coloro che – lieti – sanno della resurrezione di Lazzaro di Betania : sono tutti vestiti alla maniera romana, con tunica corta, penula ed alti calzari. Lazzaro risorto esce dalla tetra spelonca tombale, ma, come una mummia, con il solo volto scoperto, è ancora avvolto in un sudario, in bende bianche; il suo corpo, benchè vivo, ha ancora i miasmi della morte, dal momento che il giovane che gli sta accanto si tira la sua corta tunica rosea sopra il naso per non sentire il cattivo odore del defunto di quattro giorni; nello stesso tempo, lo guida con la mano sinistra verso l’uscita e con la destra lo addita alla folla come il primo uomo ritornato dalla morte alla vita..
Foglio n. 1, verso, p. 2, II m.: L’Ingresso di Gesù in Gerusalemme.
L’ avvenimento è raccontato da tutti e quattro gli Evangelisti (Matteo 21, 1 ss.; Marco 11, 1ss.; Luca 19, 28ss.; Giovanni 12, 12 ss.). Anche questa pagina consta di tre parti. I Profeti sono David, Zaccaria, David, Malachia con le loro profezie sull’avvenimento. La parte superiore comprende, in successione visiva, per movimentare e vivacizzare l’ avvenimento, piccoli gruppi di persone tutte festanti, che ben visualizzano la presenza di una folla numerosa e assolvono a compiti diversi: la scena è una delle più ricche di particolari dell’ arte pittorica bizantina. A sinistra c’è un primo gruppo, costituito da due discepoli (Pietro, l’anziano, e forse Giovanni) e da due fanciulli (uno sta staccando rami o sta scendendo da un albero una volta passato Gesù, e l’altro si trova ancora nella folta chioma dell’albero). Al centro Gesù a dorso di un asinello in movimento, con l’aureola e l’imation di colore oro, la lunga tunica marrone e gli occhi rivolti verso Gerusalemme. Il Cristo è rappresentato seduto di fianco, perché il miniaturista lo vuole dipingere nella pienezza e nella solennità dell’intera figura frontale, per meglio farlo risaltare nella scena. A destra sono rappresentati due giovani, che stendono le vesti (imation o tuniche) o un tappeto all’ arrivo dell’asino, una folla acclamante e con in mano rami di palme, le alte mura della città, dalla cui porta escono festanti quattro biondi bambini , mentre altri quattro fanciulli dalle finestre e dalla porta dell’interno della città agitano ramoscelli di palma. Il miniaturista cerca di rappresentare Gerusalemme in maniera imponente, dandole una certa prospettiva, mura possenti, alte case, tetti multicolori (rossi e blu), due torri di forma quadrata con terrazze merlate, la porta aperta della città ad arco tondo, e, sullo sfondo, la cupola blu a squame di un edificio. In questa miniatura un posto di secondo protagonista hanno i giovani ed i bambini: è un’altra novità, mentre nei quattro Evangeli si tace sulla loro presenza.
Foglio n. 2, recto, p. 3, III m.: La Cacciata dei Mercanti dal Tempio.
Nella parte alta della miniatura compare un’iscrizione didascalica greca, la cui traduzione dice:”Intorno a coloro che furono cacciati dal Tempio”: è il primo “titulus historiarum”, ne ricorreranno altri quattro nelle successive tavole miniate. L’episodio è narrato da Matteo (21, 12 ss.), Marco (11, 15 ss.), Luca (19, 45-46) e soprattutto Giovanni (2, 14 ss.). Anche qui la pagina ha tre distinte parti. I quattro Profeti, con le loro citazioni bibliche, sono David, Osea, David, Isaia. . A sinistra, il miniaturista dipinge il Tempio di Gerusalemme, mettendo in rilievo la porta, che poggia su due colonne, il tetto triangolare, una tenda finemente lavorata (corta, al fine di dare profondità all’interno), il portico con tre colonne, delle quali una è scanalata e con capitello corinzio, ed infine i tetti con tegole azzurre e rosse. Anche questa scena si presenta particolarmente movimentata, vivace e policroma. Inoltre, il miniaturista, per offrire un’ immagine a tutto campo e molto visibile della scena, ha eliminato i muri perimetrali del Tempio ed ha rappresentato questo di profilo, invece che nel prospetto. Gesù, sotto il portico del Tempio, conversa con due sacerdoti, tenendo nella mano sinistra una sferza di cordicelle, con la quale ha scacciato i profanatori della casa di Dio: tutti e tre indossano l’imation, lunghe tuniche ed i sandali. La parte destra della tavola è dedicata alla descrizione del”fuggi-fuggi”dei mercanti nel cortile del Tempio: il cambiavalute chinato volge lo sguardo verso Gesù e nella fretta fa cadere monete, borsa e pallottoliere; tre giovani in fuga, di cui due ancora con gli occhi rivolti a Gesù, che si portano dietro le loro mercanzie; il giovane che tira una capra per le corna e le orecchie; ed infine la rappresentazione di numerosi animali, una capra riottosa, una colomba che prende il volo, approfittando della gabbia aperta, una capra in fuga, due pecore e due buoi gibbosi siriaci.
Foglio n 2, verso, p.4, IV m.: La Parabola delle 10 Vergini.
La didascalia greca in alto dice :”Intorno alle dieci vergini”. Questa metafora è presente soltanto in Matteo (25, 1-13); essa, nei secoli successivi, è probabilmente il prototipo che verrà utilizzato per rappresentare il giudizio universale e la divisione netta dei dannati, a sinistra, dagli eletti, a destra, distinti dalla porta del paradiso, dietro la quale c’è Gesù, che giudica secondo meriti e demeriti. I Profeti con i loro cartigli sono David, nelle prime 3 figure, il quarto è Osea. La parte centrale della scena è dedicata al Cristo, che, alzando la mano, si accinge a parlare, e alla porta del paradiso, solida e dipinta di scorcio, che separa nettamente i due gruppi di ragazze. Le cinque vergini stolte ostentano, attraverso lunghe tuniche colorate e sontuose, ricchezza e potere terreno, ma trovano la porta celeste sbarrata da Cristo; le loro torce che si stanno spegnendo e che non possono alimentare di olio, perché le loro ampolle sono vuote, sono l’immagine – simbolo della perdita di ogni speranza di salvezza. Le altre cinque vergini manifestano visibilmente la loro saggezza attraverso il bianco delle loro vesti, accompagnate da Cristo sono entrate nel Regno celeste, che è rappresentato dalla fiamma luminosa delle torce, dalle ampolle piene di olio combustibile, dalla foresta di frondosi alberi pieni di frutta rossa, dai quattro fiumi del Paradiso, che scendono da una rupe e formano un unico fiume sotto i piedi del Cristo e delle ragazze sagge.. Gesù, che rappresenta lo sposo della parabola, è, come prima, dipinto con l’aureola e l’imation d’oro e con i sandali. In questa tavola però c’è una novità: Cristo è rappresentato con la tunica blu, come nelle successive tavole V, VI e VII..
Foglio n. 3, recto, p. 5, V m.: L’ ultima Cena e la Lavanda dei Piedi.
I due avvenimenti, distinti e separati nella tavola miniata, sono raccontati da tutti e quattro gli Evangelisti : Matteo (26, 17 ss.), Marco (14, 14 ss.), Luca (22, 1 ss.), Giovanni (13, 1 ss.). La miniatura è distinta in quattro parti: l’ultima cena e la lavanda dei piedi sopra, i profeti ed i loro cartigli sotto. I Profeti sono David, nelle prime tre figure, l’ultimo è Sofonia. . La prima scena, a sinistra della tavola, è dedicata dal miniaturista alla più antica e vera rappresentazione dell’ultima cena, avente valore storico. Essa viene consumata attorno ad un tavolo semicircolare, marmoreo e venato, con drappi colore oro e decorati con tre uccelli, imbandito con un’unica coppa d’oro e due pani. Tra i commensali, sdraiati sui loro letti, c’è il Cristo collocato dal pittore all’ estrema sinistra (e non al centro, come l’ha erroneamente descritta Leonardo), a testimoniare di essere uomo tra gli altri uomini, in piena umile parità con essi. Gesù disteso su un divano, secondo l’uso antico di stare a tavola, ha l’aureola e l’ imation d’oro, i sandali e la tunica lunga blu. Sopra in greco c’è scritto: “Verità di Dio, io vi dico: uno di voi mi tradirà”(Matteo, 26, 21). Gesù, con la mano destra protesa indica il settimo dei commensali, Giuda, che sta intingendo il pane nel vaso d’oro. Si possono individuare i seguenti apostoli: Pietro, l’anziano, all’ estrema destra, mentre a sinistra il primo, quello calvo, è Giovanni ed il terzo con i capelli bianchi è Andrea, mentre tutti gli altri hanno i capelli scuri. A destra della tavola c’è la rappresentazione della secondo avvenimento, la lavanda dei piedi degli apostoli. Gesù, inginocchiato davanti ad un vaso d’oro riempito di acqua blu, lava i piedi prima a Pietro e poi a Giovanni, con l’umiltà di chi ha, di chi testimonia e di chi vive la Verità. L’ iscrizione greca, in alto, recita : “(Pietro) gli disse : mai e poi mai tu laverai i miei piedi”.
Foglio n. 3, verso, p.6, VI m.: La Comunione degli Apostoli col Pane.
Questa e la successiva tavola miniata sono dedicate all’istituzione dell’eucarestia (con il pane e con il vino), la quale ha valore liturgico, a differenza della precedente dell’ultima cena, che viceversa ha carattere storico. La rappresentazione della comunione degli apostoli, mediante il pane ed il vino, è descritta da Matteo (26, 26-29), Marco (14, 22-26) e Luca (22, 14 e 18-20). La miniatura occupa metà della scena, che viene completata nel foglio successivo. I sei Apostoli si muovono verso Gesù in processione, da destra a sinistra, per ricevere il pane dell’ eucarestia. La scritta greca, in alto, recita: “Poi prese il pane, ringraziò Dio e lo diede loro, dicendo: (prendete e mangiate) questo è il mio corpo”. I Profeti, accompagnati dalle loro citazioni, sono David, Mosè, David, Isaia. La miniatura per dare l’immagine del movimento agli Apostoli usa diversi accorgimenti: i corpi tesi e curvi, i gesti, le braccia, le gambe e i piedi tutti in tensione e figurazioni diverse, assieme agli imation e alle lunghe tuniche mossi e sollevati ; ma l’espediente più originale riguarda i due Apostoli davanti alla figura ieratica ed autorevole di Gesù Cristo, i quali hanno in comune il bacino e le gambe. I particolari della miniatura, osservati attentamente, rivelano meglio la perizia dell’ artista nel dare movimento e vivacità alla scena.
Foglio n. 4, recto, p.7, VII m.: La Comunione degli Apostoli col Vino.
La scena completa quella del foglio precedente. Gli altri sei Apostoli, con movimento inverso da sinistra verso destra, rispetto alla rappresentazione di prima, vanno verso il Cristo a bere nel suo calice d’oro il vino rosso. In alto c’è scritto: “Prese la coppa, ringraziò Dio e la diede loro, dicendo: (bevetene tutti, perché) questo è il mio sangue”. I Profeti con i loro cartigli profetici sono Mosè, David, David, Salomone. I sei Apostoli di questa tavola miniata, come quelli della scena di prima, portano l’imation, la lunga tunica bianca ed i sandali: si possono individuare Pietro, che è colui che beve, ed Andrea, che gli sta accanto. Gesù continua ad essere rappresentato con l’aureola e l’imation d’oro, con una lunga tunica blu ed i sandali. Anche questa scena rompe la staticità delle pitture antiche e bizantine, con gli stessi abili e suggestivi espedienti usati nella miniatura precedente e in altre successive.
Foglio n. 4, verso, p. 8, VIII m.: Cristo nell’ Orto del Getsemani.
L’ avvenimento è raccontato da tutti e quattro gli Evangelisti: Matteo (26, 36 ss.), Marco (14, 32 ss.), Luca (22, 39 ss.), Giovanni (18, 1). La parte superiore presenta – per la prima volta – due diverse scene: quella di destra è occupata da Gesù inginocchiato e disteso per terra, nell’ atto della preghiera a Dio Padre (Abbà), mentre quella di sinistra rappresenta il Cristo che sveglia gli Apostoli (Pietro, Giovanni e Giacomo, poco visibili a causa della pergamena molto usurata). I Profeti, accompagnati dalle loro profezie, sono David, David, Giona, Naum. La scena presenta altre due novità ed originalità : una è il paesaggio dell’ orto rustico sotto il monte degli ulivi, l’ambiente naturale che compare per la prima volta nel”Codex”; l’altra è la rappresentazione del cielo notturno sereno, di colore blu (sovrastato da una cupa e nera notte), punteggiato da stelle e dalla luna crescente, che è la prima in assoluta nella storia dell’ arte cristiana. In entrambe le scene Gesù (quegli che prega tra le rocce e quegli che sveglia gli Apostoli) indossa una lunga tunica marrone, che ricompare in questa miniatura, mentre era scomparsa nelle tavole IV, V, VI e VII.
Foglio n. 5, recto, p.9, IX m.: Frontespizio della Tavola dei Canoni.
All’interno della miniatura, dentro il doppio tondo, c’è scritto: “Struttura del canone dell’armonia tra i Vangeli”. Sugli estremi dei due diametri, che formano idealmente una croce greca, inscritta in una doppia circonferenza o cornice d’oro, dentro quattro medaglioni, emergono i quattro Evangelisti, dipinti a mezzo busto su fondo blu. L’ artista ha rappresentato gli Evangelisti in un sistema circolare, inteso a visualizzare i loro legami, le loro interazioni e le loro coincidenze su quanto hanno scritto intorno al Cristo. Anche i colori , dentro la doppia circonferenza, si rinnovano in successione di gruppi di quattro (nero, arancione, blu, rosa), a ventagli sovrapposti, con otto colori in ogni arco, e sono tesi a dare l’ immagine dell’ armonico accordo tra le diverse versioni dei quattro Vangeli. La successione visiva degli Evangelisti segue, da destra a sinistra (osservando con le spalle alla tavola miniata), il segno della croce della “Divina Liturgia” ossia del rito bizantino – greco, attribuito a S. Giovanni Crisostomo (344 ca. – 407), patriarca di Costantinopoli, tuttora in uso presso le comunità religiose greco-bizantine, sia cattoliche d’Occidente (Grottaferrata, Eparchia di Lungro, paesi italo-albanesi ecc.) sia ortodosse delle Chiese d’Oriente. La sequenza visiva dei quattro Evangelisti, inoltre, corrisponde precisamente alla cronologia dei quattro Evangeli. In alto, è dipinto Matteo (Levi), il cui nome è scritto sopra per intero: è l’ autore del I Vangelo, pubblicato forse tra il 40 e il 50. Poi viene Marco, sulla destra di Matteo, riconoscibile dalla lettera greca « M », iniziale del suo nome, a lato del tondo: è l’autore del II Vangelo, pubblicato nel 65 ca. Quindi va visto Luca, a sinistra di Matteo, recante al lato l’iniziale « L » del suo nome: è autore, oltre che degli Atti, del II Vangelo, scritto nel 65-70. Infine, in basso, c’è Giovanni, il più anziano, la cui iniziale del nome « Gh » si trova sotto, rappresentato con la barba bianca : è l’autore del IV Vangelo, scritto nel 100. I ritratti nei dischi o tondi dei quattro Evangelisti (« imagines clipeatae ») hanno diversi elementi decorativi ed espressivi in comune: l’aureola d’oro, l’imation e la tunica bianchi, il libro d’oro (il proprio Vangelo) chiuso nella mano sinistra, la mano destra alzata ed aperta di chi si accinge a parlare.
Foglio n. 6, verso, p.12, X m.: Lettera di Eusebio a Carpiano sulla Concordanza dei Vangeli.
La miniatura riguarda la concordanza dei Vangeli ed è una pagina estranea al “Codex”, appartenente certamente ad un altro codice andato perduto. Il testo si differenzia dal resto del “Rossanensis”, perché è racchiuso in una cornice aurea dai contorni neri, rettangolare, decorata (con rosette, foglie, bottoni, canestri, gigli, colombe ed anatre), perché è a tutta pagina, invece che su due colonne, ed è privo di illustrazioni.